di Salvino Cavallaro
Salvino Cavallaro – Prima calciatore, poi allenatore di molte squadre (Vibonese, Casale, Igea Virtus, Akragas, Vittoria, Milazzo, Catanzaro, ecc.) e adesso responsabile della Scuola Calcio ASD Evergreen di Civitavecchia in provincia di Roma. Non c’è che dire, la carriera di Mauro Zampollini è tra le più interessanti dal punto di vista della dedizione a un mondo del pallone che rappresenta ancora oggi il senso del suo quotidiano. I ricordi sono ancora vividi nella sua mente e affiorano insistenti come fossero vissuti ieri. E’ il film della sua vita che vale sempre la pena di rivedere, di riassaporarne gli attimi che ne rievocano le gioie, ma anche le delusioni. Esattamente come ogni uomo di sport sa fare nella consapevolezza che il tempo è trascorso inesorabile, ma che certe pagine scritte nel libro della propria vita restano comunque indelebili. E così mister Zampollini ci racconta lo spaccato della sua vita dedicata al calcio. Classe 1956, nasce a Civitavecchia e colleziona 134 presenze con 17 gol fatti da attaccante, ma la sua carriera di calciatore finisce a 27 anni. Poi, preso il patentino di seconda categoria, comincia la sua avventura di allenatore che si protrarrà per ben 33 anni in diverse città d’Italia, soprattutto al Sud, dove egli è particolarmente legato ancora oggi dal punto di vista affettivo. “Quando giocavo a Vittoria conobbi mia moglie”dice Zampollini, con l’orgoglio di chi sente ancora quella terra di Sicilia come fosse sua e gli appartenesse per smisurato affetto. Dunque, conosciamo meglio questo interessante personaggio del calcio, attraverso un’intervista che è risultata molto esaustiva.
Mister Zampollini, cosa ricordi del calcio che hai praticato?
“In questo momento il mio calcio lo vivo come fosse un’immagine molto lontana, un film di tanti anni fa che mi è piaciuto e del quale ne razionalizzi malinconicamente il tempo trascorso. Ho vissuto quel periodo con tanta passione, affrontando anche il sacrificio di rinunciare ad una parte della mia vita privata. Era un calcio che ti dava modo di avere a che fare con personaggi importanti a livello dirigenziale. In ogni città in cui sono andato ho conosciuto presidenti e persone con cui mi sono confrontato. C’era un rapporto di reciproca chiarezza, anche quando si programmava il futuro attraverso gli obiettivi da raggiungere, dandomi la sicurezza di contratti di lavoro che talora erano anche lunghi tre anni di fila. Poi, il calcio è andato in mano a certi avventurieri che mi hanno fatto disamorare dell’ambiente.”
In cosa è cambiato il modo d’allenare e di vivere il calcio moderno?
“Nel calcio non si inventa nulla. Vedo le metodologie degli allenatori di oggi e rivedo il mio sistema di vent’anni fa. Quando hai praticato il calcio a un buon livello tecnico e conosci bene i fondamentali, ti senti ancor più avvantaggiato dopo aver approfondito gli studi che il calcio propone in tutta la sua forma tattica, atletica e di mille altre cose da acquisire. Da qui parte poi la formazione dell’allenamento che è il frutto del tuo credo calcistico, anche in funzione delle caratteristiche tecniche dei giocatori che hai a disposizione. “
Ci sono stati allenatori a cui ti sei ispirato in carriera?
“Mi è sempre piaciuto il modo di allenare di Johan Cruijff. Ho passato molti anni a studiare il suo Barcellona. Guardavo e riguardavo le cassette per studiare i movimenti tra le linee dei giocatori in campo e riflettevo come nulla fosse legato al caso. Ma ho anche apprezzatoSacchi e Zeman per quell’intendere di calcio propositivo che ho spesso adottato nelle mie squadre. Mi piacevano i tagli dei tre attaccanti che sono il vangelo di Zeman con il cambio dell’esterno destro che va a sinistra e viceversa. Diciamo che di Cruijff ho apprezzato l’occupazione del campo e il sistema di gioco che prevedeva il 3-4-3. Da Sacchi ho attinto la tattica difensiva fatta a elastico e, per quanto riguarda Zeman,ho invece apprezzato il movimento degli attaccanti. Così, nel mio piccolo, ho avuto quelle soddisfazioni che spesso nel calcio arrivano quando giochi un football brillante, divertente e di conseguenza vincente.”
Quanto ha inciso la tua preparazione culturale sui tuoi successi in carriera?
“Non saprei con esattezza. Tuttavia, posso dirti che una certa accuratezza l’ho sempre avuta perché è insita nel mio modo d’essere. Da giovane ho studiato giurisprudenza, ma a un certo punto ho cambiato interesse perché mi piaceva psicologia. Non mi sono mai laureato, ma quell’interesse mi è rimasto dentro e l’ho applicato anche nel calcio. Durante questi anni, ho anche scoperto la passione per la lettura come componente indispensabile della cultura personale. Amo leggere libri, mi appassionano davvero. Ma ritornando al mio lato professionale, credo di aver dato ai giocatori un aspetto di grande professionalità che si sintetizza con una certa distanza nei rapporti con lo spogliatoio. Infatti, negli anni in cui ho allenato, mi è stato rimproverato questo distacco tra me e i miei giocatori. Ma non voleva essere inteso come un mio atteggiamento di freddezza nei loro confronti, semmai si doveva intendere come un trattamento da professionisti veri. Era una distanza professionale che induceva a far crescere lo spogliatoio e tutto l’ambiente.”
Oggi sei responsabile della scuola calcio ASD Evergreen di Civitavecchia. Com’è stato il tuo approccio in un mondo del calcio che è così lontano da quanto hai fatto in tanti anni di carriera?
“Si tratta davvero di mondi diversi, anche se si agisce sempre con il pallone. La scuola calcio riguarda bambini di 8, 9,10 e anche qualche anno in più. Questa è una materia delicata, perché ti devi relazionare con i bambini in veste di amico ed educatore dei comportamenti, rispettando le regole che devono associarsi all’insegnamento dei fondamentali. Ho dovuto ricominciare a studiare e ripartire in un mondo nuovo in cui non potevo mettere la mia esperienza di allenatore professionista praticata per 33 anni, in una realtà completamente diversa. Oggi sono molto contento e vivo questa nuova esperienza con molta passione, nonostante la difficoltà di calmare certi comportamenti diseducativi da parte di alcuni genitori, che troppe volte vedono nel figlio quello che avrebbero voluto essere loro e non sono mai stati. E, se ripenso ai miei momenti di disaccordo con presidenti e dirigenti di società quando allenavo, devo dire che erano davvero rose e fiori, rispetto alle difficoltà che riscontro nel trattare con i genitori dei bambini, i quali sono la vera componente da educare.”
Per finire, ci sono cose della tua vita che rifaresti e altre no?
“Rifarei tale e quale il mio percorso formativo dal punto di vista calcistico, ma devo riconoscere che nella mia carriera di allenatore, e forse anche di calciatore, ho fatto parecchi errori di tipo caratteriale. Forse ho peccato di fragilità interiore nel non volere raggiungere a tutti i costi un risultato che magari mi ero prefissato. Di fronte al desiderio di arrivare, si è intromesso negativamente il mio carattere che non mi ha aiutato. Forse non ho avuto il fatidico “pelo sullo stomaco”, per non aver affrontato determinati momenti della mia carriera come invece avrei dovuto fare. Bastava forse ricorrere a quell’ipocrisia che il Potere del mondo del calcio impone a tutti i livelli. Purtroppo, madre natura non mi ha dotato di queste caratteristiche. Ecco, forse questo è l’unico vero rammarico di una carriera che avrebbe potuto essere stata più fortunata. Per il resto, sono molto contento di ciò che ho fatto.”
Fonte: http://www.siciliapress.it/2016/09/29/mauro-zampollini-una-vita-dedicata-al-calcio/